Come usare la punteggiatura nei dialoghi
Una delle regole fondamentali quando scrivi romanzi è il famoso show, don’t tell! Ci sono scrittori che riescono a disegnare nella mente del lettore immagini incredibili. Pensa se fossi tu quello scrittore: immagina che straordinaria soddisfazione sarebbe. Imparare a mostrare con efficacia serve a far credere al lettore che la scena che gli stai raccontando è reale. Per farlo devi saper padroneggiare la punteggiatura.
Elementi essenziali per raggiungere questo risultati sono i dialoghi. Non è semplice saperli mettere in campo, ma con una buona dose di pratica si possono ottenere ottimi risultati. Come nella musica, anche nella scrittura è indispensabile dare un ritmo ai suoni e tu per catturare l’attenzione del lettore devi fare in modo che il suono delle parole sia piacevole.
In questo articolo, con una serie di esempi pratici, ti mostro come usare la punteggiatura nei dialoghi in maniera sapiente ed efficace.
Bevi un caffé, preparati a prendere appunti e leggi fino alla fine, potrebbe esserci una sorpresa per te.
Partiamo dallo specificare che esistono tre possibili segni di punteggiatura per organizzare in maniera visiva i dialoghi:
- Le caporali «…»;
- Le virgolette alte o inglesi “…”;
- I trattini lunghi –…–.
Le caporali e le virgolette alte
Iniziamo dai dialoghi segnalati dalle caporali. Personalmente sono quelle che preferisco.
Ritengo sia meglio usare le caporali come indicatori di dialogo, perché questo ti permette di mantenere libere le eventuali virgolette alte per segnalare citazioni all’interno del discorso diretto.
Una cosa molto importante da specificare è che le caporali non possono essere sostituite con i segni < e >, che hai a disposizione in basso a sinistra sulla tastiera del tuo pc. Per trovare le caporali devi accedere nella finestra dei Caratteri speciali, all’interno del tuo programma di videoscrittura.
Di solito le trovi sotto il menu Inserisci → Caratteri speciali.
A questo punto si aprirà una finestrella con tutta una serie di simboli e caratteri che non compaiono sulla normale tastiera. Qui puoi trovare anche la rarissima È, che ti consiglio di usare al posto della triste E maiuscola seguita da apostrofo… inguardabile nei romanzi!
Sei ancora sveglio? Può sembrare noioso, in realtà con questi suggerimenti potresti distanziare la concorrenza e farti notare.
Non tutti sanno come usare la punteggiatura nei dialoghi in maniera efficace e spesso proprio la punteggiatura può farti perdere l’occasione di emergere tra la massa. Di solito i consigli che sto per darti li do privatamente solo agli scrittori con cui collaboro, quindi cogli la palla al balzo.
Adesso che sai dove trovare le caporali iniziamo con le spiegazioni più pratiche. Le stesse regole che ti sto per illustrare si applicano sia con le caporali («…») che con le virgolette alte (“…”).
#1 Se devi scrivere un periodo composto dal solo discorso diretto, la punteggiatura va all’interno del dialogo
Esempio: «Vado a fare la spesa.»
In questo caso qualsiasi segno di punteggiatura tu debba inserire alla fine del dialogo, sia ! che ? che … va dentro al dialogo:
«Vado a fare la spesa?»
«Vado a fare la spesa!»
«Vado a fare la spesa…»
#2 Se il dialogo è introdotto da una frase le cose cambiano. La punteggiatura a quel punto riguarderà la frase e non dovrà essere inserita all’interno del dialogo
Ad esempio:
Mi disse: «Vado a fare la spesa».
Come puoi vedere il punto chiude il periodo fuori dal dialogo.
In presenza di punto esclamativo, interrogativo o puntini di sospensione all’interno del dialogo non bisogna mai aggiungere il punto esterno. Questi segni di punteggiatura sostituiscono sempre il punto finale che si limita a sparire. Ecco alcuni esempi:
Mi disse: «Vado a fare la spesa…»
Mi disse: «Vado a fare la spesa!»
Mi disse: «Vado a fare la spesa?»
#3 Se il dialogo è inserito in un periodo più complesso devi stare attento all’uso o meno della virgola
Mi disse: «Vado a fare la spesa», e prese la borsa.
In questo caso, visto che all’interno delle caporali non c’è nessun simbolo di punteggiatura è necessario inserire una virgola prima della fine del periodo.
Mi disse: «Vado a fare la spesa?» e prese la borsa.
Mi disse: «Vado a fare la spesa!» e prese la borsa.
Mi disse: «Vado a fare la spesa…» e prese la borsa.
In questi altri casi invece, poiché all’interno del dialogo c’è un segno di punteggiatura non bisogna inserire una virgola all’esterno della caporale di chiusura.
#4 Se il dialogo è spezzato da un inciso bisogna seguire altre regole
«Vado», disse, «a fare la spesa.»
In questo caso ciò che riguarda il dialogo vero e proprio, il punto, va messo all’interno delle caporali. Le virgole dell’inciso, poiché riguardano l’inciso stesso, restano fuori.
Se la virgola riguarda il dialogo vero e proprio rimane dentro alle caporali:
«Vado,» disse, «a fare la spesa.»
Nello stesso preciso modo si ragiona per quanto riguarda gli altri segni di punteggiatura:
«Vado?» disse. «A fare la spesa?»
«Vado!» disse. «A fare la spesa.»
«Vado…» disse. «A fare la spesa…»
In questi tre casi l’unica cosa che devi cambiare è la punteggiatura dell’inciso. Al posto della virgola va messo il punto.
Se hai bisogno di una pausa prenditela pure, perché ora ti spigherò come utilizzare in maniera efficace i trattini lunghi.
Mi rendo conto che il discorso può sembrare un po’ troppo complicato, ma è solo una questione di abitudine. Sapere come usare la punteggiatura nei dialoghi ti aiuterà a ritmare le emozioni nella mente del lettore.
Ripartiamo.
I trattini lunghi
Nel caso in cui decidessi di scegliere i trattini lunghi (–…–) per segnalare il discorso diretto ci sono altre tre brevi regole da seguire.
#1 Il dialogo si apre con un trattino
Esempio: – Vado a fare la spesa.
E si chiude con un altro trattino solo in caso di inciso o se il testo continua. Le virgole sono interne al discorso diretto anche quando non continua dopo l’inciso.
Esempio: – Vado a fare la spesa, – disse.
#2 Quando termina, il discorso diretto non viene mai segnalato da un altro trattino, come nell’esempio sopra
Esempio: – Vado a fare la spesa.
#3 Se dopo il dialogo il testo continua, il punto va messo dopo il trattino di chiusura
Esempio: – Vado, – disse, – a fare la spesa –. Prese la borsa e uscì.
Non importa quale dei tre metodi scegli, l’importante è mantenere lo stesso metodo e le sue regole per tutto il romanzo. Le case editrici sono le prime a modificare la punteggiatura dei dialoghi di un nuovo romanzo per uniformarlo alle regole di formattazione delle loro collane. Vuoi alcuni esempi delle case editrici più note?
Mondadori pubblica i suoi romanzi utilizzando le caporali («…»).
Ma la stessa Mondadori, nella collana Chrysalide, segnala i dialoghi con i trattini (–…–).
Einaudi stile libero predilige i trattini lunghi (–…–).
Bompiani le virgolette (“…”).
Garzanti le caporali («…»).
Insomma, a meno che tu non abbia già deciso di presentare il tuo inedito a una specifica casa editrice, e in tal caso ti consiglio di osservare la punteggiatura dei dialoghi dei romanzi che pubblica e di uniformare il tuo testo, scegli pure uno dei tre metodi senza porti problemi.
Ora che ti ho spiegato nel modo più semplice possibile come usare la punteggiatura nei dialoghi vorrei farti un regalo e svelarti un altro paio di consigli utili.
Ti è mai capitato di far raccontare a uno dei tuoi personaggi un episodio del suo passato o una lunga storia ad un altro personaggio?
Se la risposta è sì, questa dritta è per te.
Se devi scrivere un dialogo lungo, ci sono diversi modi per andare a capo e spezzare il paragrafo per non annoiare troppo il lettore. Il testo dei romanzi non è solo un’accozzaglia di parole: anche l’occhio vuole la sua parte.
L’organizzazione visiva spesso fa la differenza, tenendo il lettore incollato alle pagine dei tuoi romanzi.
Ecco alcune tecniche efficaci per ritmare i dialoghi:
#1 Rendi dinamica la discussione
Se un personaggio ha un lungo evento del passato da raccontare, e questo racconto è fondamentale per la continuazione del tuo romanzo, cerca di farglielo pronunciare in maniera intelligente.
Ad esempio, mettiamo che io debba far parlare Luca della sua infanzia tormentata per giustificare agli occhi del lettore la sua crudeltà nei confronti delle madri. Luca deve sprizzare sdegno, rabbia mentre racconta del suo passato a Marco, il suo inquilino.
La narrazione del passato tormentato serve allo scrittore per innestare il dubbio nel lettore: questo Luca chi è veramente?
Ti sconsiglio di scrivere un lungo monologo, ma di approfittare di Marco per interrompere il flusso delle parole di Luca e rendere meno monotono lo scambio.
Ecco il primo esempio, il lungo monologo di Luca scritto tutto di seguito:
«Non lo so, ho sempre provato una forte repulsione alla vista di quegli enormi ventri sporgenti. Quella massa di carne ripiena di un essere innocente. Perché alla fine l’unico a non avere colpe è quell’abitante lì, eh? Lui ancora non lo sa. Non sa che quella specie di grande vacca ambulante che lo trasporta, lo tiene al caldo e lo nutre del suo corpo in realtà non vede l’ora di spararlo fuori per abbandonarlo dietro a qualche cassonetto. Non sa che lei non desidera altro che di tornare appetibile per gli uomini, quelli che le regalano bustine magiche, ripiene di un sogno in polvere. No, non sa che i mesi che ha dedicato a crescere, agitando le sue piccole mani perfette nel liquido in cui è immerso, verranno vanificati in un istante. Deve solo sperare, quel piccolo maschio perfetto, di imbattersi in un prete gentile. Un sacerdote attirato da vagiti sempre più deboli. Vagiti che vengono da un sacco di plastica nero abbandonato vicino ad un cassonetto puzzolente, alla stregua degli scarti della pescheria lì vicino, gli scarti per i gatti randagi. E magari il sacerdote lo troverà, salvandolo da morte certa. Allora il piccolo maschio perfetto crescerà in grazia e intelligenza senza mai scordare una cosa: che quella vacca grassa è stata solo un’incubatrice di infelicità. E che quelle come lei meritano solo sofferenza. E morte.»
Se non hai molta esperienza, scrivere lunghi monologhi può risultare molto tedioso per il lettore. Ecco una facile alternativa. Nell’esempio in basso l’intervento di Marco spezza il ritmo:
«Non lo so, ho sempre provato una forte repulsione alla vista di quegli enormi ventri sporgenti. Quella massa di carne ripiena di un essere innocente. Perché alla fine l’unico a non avere colpe è quell’abitante lì, eh? Lui ancora non lo sa. Non sa che quella specie di grande vacca ambulante…»
«Vacca? Non ti sembra di esagerare…?» disse Marco.
«No di certo. Una grande vacca ambulante che lo trasporta, lo tiene al caldo e lo nutre del suo corpo. In realtà non vede l’ora di spararlo fuori per abbandonarlo dietro a qualche cassonetto. Non sa che lei non desidera altro che di tornare appetibile per gli uomini, quelli che le regalano bustine magiche, ripiene di un sogno in polvere.»
«Tua madre era una cocainomane?»
«Sì, una delle più accanite, a quel che so.», rispose Luca, «Ma io non lo potevo sapere. Non potevo. Come quel piccolo essere: non sa che i mesi che ha dedicato a crescere, agitando le sue piccole mani perfette nel liquido in cui è immerso, verranno vanificati in un istante. Deve solo sperare, quel piccolo maschio perfetto, di imbattersi in un prete gentile. Un sacerdote attirato da vagiti sempre più deboli. Vagiti che vengono da un sacco di plastica nero abbandonato vicino ad un cassonetto puzzolente, alla stregua degli scarti della pescheria lì vicino, gli scarti per i gatti randagi. E magari il sacerdote lo troverà, salvandolo da morte certa.»
«Quindi don Pino non è un mafioso? Ero convinto fossi il figlio di un boss, visto che sei di quelle zone, del Sud.» rispose Marco con la bocca deformata da un ghigno.
«Don Pino è un santo moderno. Un esempio di rettitudine! Quel piccolo trovatello perfetto è cresciuto in grazia e intelligenza senza mai scordare una cosa grazie a lui: che quella vacca grassa è stata solo un’incubatrice di infelicità. E che quelle come lei meritano solo sofferenza. E morte.» concluse Luca.
#2 Se proprio non puoi fare a meno di far pronunciare un lungo monologo al tuo personaggio
Ci sono un paio di metodi visivi che ti consiglio di utilizzare per spezzare il paragrafo.
Nel primo esempio il monologo risulta più leggero. La tecnica è semplice: basta andare a capo quando il discorso lo permette e ripetere la caporale di apertura davanti a ogni inizio paragrafo mettendo la caporale di chiusura solo alla fine del dialogo.
«Non lo so, ho sempre provato una forte repulsione alla vista di quegli enormi ventri sporgenti. Quella massa di carne ripiena di un essere innocente. Perché alla fine l’unico a non avere colpe è quell’abitante lì, eh? Lui ancora non lo sa.
«Non sa che quella specie di grande vacca ambulante che lo trasporta, lo tiene al caldo e lo nutre del suo corpo in realtà non vede l’ora di spararlo fuori per abbandonarlo dietro a qualche cassonetto. Non sa che lei non desidera altro che di tornare appetibile per gli uomini, quelli che le regalano bustine magiche, ripiene di un sogno in polvere.
«No, non sa che i mesi che ha dedicato a crescere, agitando le sue piccole mani perfette nel liquido in cui è immerso, verranno vanificati in un istante. Deve solo sperare, quel piccolo maschio perfetto, di imbattersi in un prete gentile. Un sacerdote attirato da vagiti sempre più deboli. Vagiti che vengono da un sacco di plastica nero abbandonato vicino ad un cassonetto puzzolente, alla stregua degli scarti della pescheria lì vicino, gli scarti per i gatti randagi.
«E magari il sacerdote lo troverà, salvandolo da morte certa. Allora il piccolo maschio perfetto crescerà in grazia e intelligenza senza mai scordare una cosa: che quella vacca grassa è stata solo un’incubatrice di infelicità. E che quelle come lei meritano solo sofferenza. E morte.»
Il secondo esempio è simile al primo, solo che non devi ripetere la caporale all’inizio del paragrafo, ma limitarti ad andare a capo e a creare il rientro nella prima riga:
«Non lo so, ho sempre provato una forte repulsione alla vista di quegli enormi ventri sporgenti. Quella massa di carne ripiena di un essere innocente. Perché alla fine l’unico a non avere colpe è quell’abitante lì, eh? Lui ancora non lo sa.
Non sa che quella specie di grande vacca ambulante che lo trasporta, lo tiene al caldo e lo nutre del suo corpo in realtà non vede l’ora di spararlo fuori per abbandonarlo dietro a qualche cassonetto. Non sa che lei non desidera altro che di tornare appetibile per gli uomini, quelli che le regalano bustine magiche, ripiene di un sogno in polvere.
No, non sa che i mesi che ha dedicato a crescere, agitando le sue piccole mani perfette nel liquido in cui è immerso, verranno vanificati in un istante. Deve solo sperare, quel piccolo maschio perfetto, di imbattersi in un prete gentile. Un sacerdote attirato da vagiti sempre più deboli. Vagiti che vengono da un sacco di plastica nero abbandonato vicino ad un cassonetto puzzolente, alla stregua degli scarti della pescheria lì vicino, gli scarti per i gatti randagi.
E magari il sacerdote lo troverà, salvandolo da morte certa. Allora il piccolo maschio perfetto crescerà in grazia e intelligenza senza mai scordare una cosa: che quella vacca grassa è stata solo un’incubatrice di infelicità. E che quelle come lei meritano solo sofferenza. E morte.»
Anche se le regole sono molte e variegate, non importa quale sceglierai.
La cosa che conta è che tu sappia come usare la punteggiatura nei dialoghi, scelga un solo metodo e lo mantenga fino alla fine del romanzo, rispettandone regole e stili.
Un manoscritto ben strutturato e formattato ha più possibilità di farsi apprezzare sia da un editore che valuta i testi inediti, sia da un lettore che acquista il tuo romanzo nelle piattaforme di self-publishing.
Ora sta a te sperimentare le tecniche di punteggiatura e scegliere quella che calza meglio per il tuo romanzo. Ti ricordo che nel manuale Progettazione su Misura ho inserito tanti altri consigli pratici per aiutarti a migliorare fin da subito la scrittura del tuo romanzo.
Ti auguro di raggiungere il successo letterario che meriti,
Stefania
*Foto di copertina: Mikayla Mallek/Unsplash
Stefania Crepaldi è editor freelance e autrice. Co-fondatrice dell’agenzia editoriale Editor Romanzi e della scuola online di scrittura e di editoria, LabScrittore. Ha scritto il libro Lezioni di narrativa. Regole e tecniche per scrivere un romanzo (Dino Audino Editore). Ha creato la serie di Fortunata, tanatoesteta. Scrive romanzi per Salani Editore.
Mi hai salvato la vita!!! Sto traducendo un romanzo con regole editoriali all’americana e stavo cominciando a confondermi nell’adattare i discorsi diretti al mercato italiano – discorsi diretti un po’ lunghi e pieni di incisi, ormai non sapevo più se mettere la punteggiatura dentro o fuori dai caporali!!!
Ciao Cinzia, piacere di conoscerti!
Sono molto felice che il mio articolo ti sia stato d’aiuto.
Volevo proprio creare un testo approfondito e con esempi visibili per evitare la confusione a chi scrive o a chi, come te, traduce e riscrive.
Buon lavoro!
Ciao, bell’articolo!
Ma ho un dubbio, quale di queste forme è corretta?
1. «Arturo è pazzo.» disse Giovanni.
2. «Arturo è pazzo», disse Giovanni.
3. «Arturo è pazzo» disse Giovanni.
A quanto ho letto, propenderei per la prima, perché il punto nel dialogo ci andrebbe. Il dialogo, infatti, non continua. E, fosse stato esclamativo:
«Arturo è pazzo!» urlò Giovanni.
Quindi perché non dovrebbe esserlo se il punto non è esclamativo? Eppure, riesco a trovare una buona ragione per dire che sono corrette tutte e tre.
Non avrei dubbi sulla seconda, se fosse:
«Arturo è pazzo», disse Giovanni, «pazzo da legare.»
So che metteresti la virgola “dentro” le prime caporali, ma ho letto da qualche parte che si può anche eliminare questa regola, per questioni stilistiche. Lo fanno molte CE.
Grazie mille, comunque.
Ciao Mattia, piacere di conoscerti!
In effetti ogni casa editrice applica le sue regole.
Questo è un articolo rivolto soprattutto a chi si accinge a scrivere per la prima volta, e non sa come muoversi con la punteggiatura dei dialoghi.
Il romanzo, una volta arrivato in casa editrice, sfugge dalle mani dello scrittore e si adegua alle norme redazionali dell’editore.
Veniamo ora alle tue domande.
Tutte le forme che hai scritto sono corrette.
Il ragionamento di base che uno scrittore deve fare è il seguente: se la punteggiatura riguarda il dialogo allora va all’interno del dialogo e delle caporali.
Se la punteggiatura riguarda l’inciso, allora va all’esterno.
Se la punteggiatura riguarda entrambi, allora va sia fuori che dentro.
Ti ripropongo questo passaggio per farti capire il concetto ancora meglio.
«Vado», disse, «a fare la spesa.»
In questo caso ciò che riguarda il dialogo vero e proprio, il punto, va messo all’interno delle caporali. Le virgole dell’inciso, poiché riguardano l’inciso stesso, restano fuori.
Se la virgola riguarda il dialogo vero e proprio rimane dentro alle caporali:
«Vado,» disse, «a fare la spesa.»
L’importante è scegliere una linea e mantenerla per tutto il romanzo.
L’aspetto fondamentale di un testo curato è la coerenza redazionale.
Intanto, ti ringrazio immensamente.
Secondo, ti confesso che faccio un po’ fatica, nel tuo ultimo esempio, a capire se la virgola deve appartenere al dialogo, o all’inciso. Intendo dire che mi sembrano del tutto equivalenti – ma potrei anche sbagliarmi – le due situazioni. Oppure, la finezza è tale che mi verrebbe il mal di testa a pensare alle possibili differenze 🙂
Quanto ai miei esempi, credo, dopo lunga analisi, che il numero 3 sia il migliore:
3. «Arturo è pazzo» disse Giovanni.
Insomma, è leggero, ed è comunque comprensibile. Ho guardato davvero un sacco di libri, e sono giunto a questa conclusione – che ammetto essere del tutto stilistica.
Ti ringrazio ancora, e chissà mai che possa avere bisogno di te, in forma professionale, in un futuro vicino.
Anche io preferisco la forma che hai scelto tu per impostare i romanzi dei miei clienti.
Per quanto riguarda gli ultimi due esempi, entrambe le forme sono corrette. L’unica differenza, se leggi le due versioni a voce alta, riguarda l’intonazione e la pausa in più che la virgola fuori dalle caporali impone.
Per cui la seconda è una scelta stilistica che va a influire sul ritmo di lettura.
Sei stata molto chiara. Grazie 😉
Articolo interessante e molto utile. Grazie.
Con riferimento a questo brano:
Ci sono un paio di metodi visivi che ti consiglio di utilizzare per spezzare il paragrafo.
Nel primo esempio il monologo risulta più leggero. La tecnica è semplice: basta andare a capo quando il discorso lo permette e ripetere la caporale di apertura davanti a ogni inizio paragrafo mettendo la caporale di chiusura solo alla fine del dialogo.
E’ possibile usare questo “trucco” anche con i trattini lunghi? Senza però mettere mai il trattino di chiusura.
Avrei una domanda con riferimento al brano che segue:
Ci sono un paio di metodi visivi che ti consiglio di utilizzare per spezzare il paragrafo.
Nel primo esempio il monologo risulta più leggero. La tecnica è semplice: basta andare a capo quando il
discorso lo permette e ripetere la caporale di apertura davanti a ogni inizio paragrafo mettendo la caporale di chiusura solo alla fine del dialogo.
E’ possibile usare il “trucco” di andare a capo ancghe quando si usa il trattino lungo? Ovviamnete semza mai mettere il trattino alla fine.
Ciao Ida, piacere di conoscerti!
Personalmente non ricordo di aver mai visto la stessa tecnica utilizzata con il trattino.
Penso che la discriminante sia che il trattino lungo come simbolo è identico sia in apertura che in chiusura e potrebbe confondere.
Invece le caporali sono due segni di punteggiatura che hanno direzioni diverse.
Quello che ti posso consigliare è di andare comunque a capo, mettendo il rientro del paragrafo e non aggiungendo il trattino. E alla fine, quando il dialogo sarà terminato, mettere solo quello di chiusura. Io farei così.
Grazie mille.
Piacere di conoscerla. Il suo sito è interessante
Articolo, meraviglioso e utilissimo. Grazie, grazie, grazie!
Grazie a te! Mi fa molto piacere che ti sia stato utile.
Grazie Stefania! Precisa e chiara.
In realtà la punteggiatura esterna o interna alle virgolette (o ai caporali) dipende dalle norme redazionali della casa editrice. Non cambia a seconda se c’è una legatura o meno, ci si comporta allo stesso modo per tutto il romanzo e secondo le norme scelte dalla casa editrice o dall’autore. Ad esempio: si decide se il punto fermo va fuori o dentro le virgolette, se prima della legatura si vuole mettere la virgola o meno (e anche se metterla fuori o dentro le virgolette) e poi ci si comporta allo stesso modo sia se c’è legatura sia se in quella scena non c’è. Non è vero che se manca la legatura il punto va per forza dentro.
Gentile Lia, lo specifico in questo passo dell’articolo: “Non importa quale dei tre metodi scegli, l’importante è mantenere lo stesso metodo e le sue regole per tutto il romanzo. Le case editrici sono le prime a modificare la punteggiatura dei dialoghi di un nuovo romanzo per uniformarlo alle regole di formattazione delle loro collane.”
In ogni caso questo articolo è stato scritto grazie ad un supporto tecnico di manuali di punteggiatura. Le soluzioni che propongo sono tutte corrette, e servono a far comprendere visivamente come organizzare al meglio i dialoghi quando si è alle prime armi.
Sì, ma dare come regola che se ci sono le legature ci si comporta in un modo e senza legature ci si comporta in un altro a me sembra un po’ fuorviante (mi riferisco a quanto detto nei punti 1 e 2). Anche perché di solito si sconsiglia di usare due metodi diversi per i dialoghi. Bisogna uniformare: quindi o sempre fuori o sempre dentro, a prescindere da legature o meno. Mi spiego meglio.
Se senza legatura è:
“Mi piace.”
Con legatura è:
Mi disse: “Mi piace.”
Non è che nel primo caso il punto va dentro e nel secondo va fuori.
E viceversa.
Se senza legatura è:
“Mi piace”.
Con legatura è:
Mi disse: “Mi piace”.
Gentile Lia, sono arrivati sani e salvi tutti e tre i suoi commenti. Non deve temere, non li ho persi. Il secondo non verrà pubblicato perché non sono accettati link esterni nei commenti.
Se il commento risulta in moderazione significa che l’amministratore deve fisicamente entrare nel sistema e accettarlo. Per questo lei non ha modo di vederli subito.
Detto ciò, capisco le sue perplessità. A livello di grammatica e di correttezza estrema, le regole sono quelle che ho riportato, tra l’altro rintracciabili tranquillamente in un manuale di punteggiatura che io consiglio a molte persone di studiare, pubblicato da una prestigiosa scuola di editoria di Milano, nello specifico: “Piccolo manuale di editing” a cura di Ferdinando Scala e Donata Schiannini, pagg.41- 45.
Quindi, semmai, è il contrario di ciò che afferma. Per convenzione e anche per una questione estetica, diciamocelo, la casa editrice sceglie di inserire la punteggiatura, o sempre dentro o sempre fuori dal dialogo. Non è sbagliato, assolutamente, ma nemmeno giusto: è convenzionale. Un po’ come chi accetta se stesso con l’accento o obiettivo con due “b”. È diventato convenzionale successivamente all’uso comune.
Con questo articolo desideravo garantire a un aspirante scrittore una panoramica tecnica quanto più completa possibile sull’uso della punteggiatura nei dialoghi. Alla fin fine, per imparare, basterebbe aprire un qualsiasi romanzo che si possiede in casa, da cui impari la convenzione, non la regola. Io ritengo sia sempre necessario capire la regola prima di applicare la convenzione.
Spero di essere stata il più chiara ed esaustiva possibile.
Mi rendo conto che lei, da “collega” desidera mettersi in mostra, ma la conoscenza della punteggiatura non è una gara. In questo ambito conta solo lo studio e l’applicazione di alcune norme.
Anche io, quando edito, non rispetto pedissequamente la regola originaria, però la conosco.
Grazie dell’articolo molto interessante.
Posso chiederti un consiglio su questa forma?
Entrò nella stanza a passo svelto, “Arturo è pazzo,” esclamò con sdegno.
La virgola al posto dei due punti per introdurre il discorso diretto e la virgola all’interno del discorso diretto; ho visto questa tecnica su più testi inglesi e mi chiedevo se può essere adottata anche qui da noi.
Grazie in anticipo.
A dire il vero è una forma che viene già usata anche in romanzi scritti in italiano.
I : non sono sempre indispensabili. Molte case editrici li usano solo quando viene citato qualcosa, quando si deve riportare un pezzo di giornale, diario, sms.
Esempio:
Diceva: “Anna è stata ritrovata assassinato il 2 ottobre 2015 presso la sua casa…”
Di solito si predilige iniziare un dialogo già con le caporali, senza l’inciso in apertura. Non perché non sia corretto, ma per una questione di ritmo di lettura e composizione.
In ogni caso le case editrici impongono una correzione di bozze per uniformare il testo alle loro linee editoriali, per cui tu magari prendi una decisione che poi viene messa in discussione e modificata pre-pubblicazione.
Ok, perfetto! Grazie mille per la risposta 🙂